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sabato 3/12/2011 (ore 22.00) domenica 4/12/2011 (ore 16.00 e 21.30)

 

IL CUORE GRANDE DELLE RAGAZZEdi Pupi Avati con Cesare Cremonini, Micaela Ramazzotti, Gianni Cavina, Andrea Roncato [commedia, 85’, Italia, 2011]

Prima metà degli anni ’30, in una cittadina dell’Italia centrale immersa nella campagna. La famiglia contadina dei Vigetti ha tre figli: il piccolo Edo, Sultana e Carlino, giovanotto molto ambìto dalle ragazze. Gli Osti invece sono proprietari terrieri che hanno fatto fortuna e vivono in una casa padronale con le loro tre figlie, tutte da maritare: le più attempate, Maria e Amabile, e la giovane e bellissima Francesca. Facendo buon viso a cattiva sorte, Sisto e Rosalia Osti accettano che il giovane contadino Vigetti corteggi le due sorelle maggiori con l’intento di sistemarne almeno una. Inizia un periodo di incontri con le due ragazze nel salotto di casa Osti, turbato però un giorno dall’arrivo improvviso di Francesca dalla città in cui è stata mandata a studiare. Tra i due è colpo di fulmine e tutti i piani vanno in fumo. Pupi Avati torna sul filo della memoria per raccontare la storia d’amore dei suoi nonni. Un ricordo personale che diventa, come sempre nel cinema del regista bolognese, lo spunto per affrontare tematiche universali. Si parla quindi di matrimoni d’interesse, di un colpo di fulmine, del rapporto tra padroni e mezzadri e della natura umana, schiava delle proprie pulsioni in un mondo arcaico dominato dal ritmo della natura, da un maschilismo di facciata e da leggi tacite e immodificabili. Lo aveva già fatto con Gli amici del Bar Margherita Pupi Avati, assumendo uno sguardo maschile su un mondo altrettanto maschile (e maschilista). Questa volta il suo cinema esce dai bar e dai confini emiliani, diffusi di fumo e Campari, per spostarsi nella campagna italiana degli anni Trenta, quando le donne avevano un cuore grande e rassegnato all’adulterio, quando l’infedeltà era congenita al matrimonio, indotta dal virile modello sociale dell’ideologia fascista e giustificata con un imperativo bisogno fisiologico di sesso. Muovendosi su un piano di consolidata nostalgia marginale e attraverso la storia d’amore tra un giovanotto farfallone e una giovane donna timorata di un dio bigotto, il regista emiliano ci racconta lo zelo antifemminista della dittatura fascista, che relegava la donna al focolare domestico, esaltava la maternità a sostegno della forza dello Stato nazionale e inibiva l’affermazione degli interessi individuali. Per questo motivo il Carlino di Cremonini, in giro sui colli marchigiani in sella a una bici ‘special’, diventa l’ennesimo mediocre fra i tanti che Avati ha saputo raccontare.

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